possiamo invecchiare più lentamente ritardando contemporaneamente l’insorgenza di tutte le malattie?
A leggere alcuni articoli scientifici sembrerebbe di sì (vedi la bibliografia in fondo alla pagina).
nel corso degli anni l’aspettativa di vita è andata aumentando. Tuttavia l’economista Robert Gordon ci dice che se togliamo i tassi di mortalità per le otto principali malattie infettive, non abbiamo migliorato affatto la mortalità, in particolare la mortalità per le malattie croniche tipiche dei nostri tempi.
Questo è quello che ci dice anche l’epidemiologo Roberto Volpi, il quale addirittura si spinge oltre e afferma che il miglioramento dell’aspettativa di vita per la scomparsa delle malattie infettive è dovuto in realtà all’igiene: igiene cittadina, quindi le fognature, igiene familiare, per esempio l’uso del bagno, igiene personale, come l’uso del sapone, igiene alimentare, maggiore tempo libero, maggiore attenzione a se stessi e solo marginalmente -ci dice sempre Roberto Volpi- alla medicina.
Addirittura negli anni settanta Ivan Illich si scagliava contro la medicina moderna e alcuni articoli scientifici ci direbbero che la medicina sarebbe la terza causa di morte. Articoli scientifici che vengono completamente smentiti da altri articoli. Però chiaramente il dubbio resta.
I dati mostrano che l’aspettativa di vita delle donne europee è intorno agli ottantatré anni di cui circa diciannove sono vissuti in condizioni di disabilità. Questo perché, come dice il professor garattini, non abbiamo prestato particolare attenzione all’aspettativa di vita di buona qualità, cioè non abbiamo puntato sulla qualità della vita, ma solo sull’allungamento della vita stessa. E infatti un articolo scientifico, ci dice anche se in modo dubitativo, che i giovani stanno diventando più disabili. Addirittura anche il mito dell’allungamento dell’aspettativa di vita, almeno negli Stati Uniti -che peraltro hanno il miglior sistema sanitario- sta cominciando a declinare.
Tutto è stato guidato dal concetto del “modello di malattia” che aveva come scopo individuare precocemente le malattie, riducendone i fattori di rischio e sviluppando nuovi trattamenti efficaci contro di esse.
Quindi ci chiediamo: possiamo invecchiare più lentamente, ritardando così contemporaneamente l’insorgenza e la progressione delle malattie fatali e invalidanti?
James Fries nel millenovecentottanta diceva che l’aumento dell’aspettativa di vita sarebbe stato accompagnato da una riduzione della vita in condizioni di malattia. Il suo assunto era che la mortalità si stava riducendo e l’aspettativa di vita aumentando, ma rimanendo il limite massimo della vita fissato a 120 anni, risultava evidente che si sarebbe compresso il periodo di malattia. Quindi secondo le sue previsioni saremmo giunti al termine della nostra vita morendo quasi istantaneamente, senza aver mai sperimentato nessuna malattia. Questo è il concetto della quadratura della vita secondo Fries.
Non tutti erano d’accordo con questo concetto. in particolare Greenberg riteneva che la diminuzione della mortalità non sarebbe derivata da una riduzione della incidenza delle malattie, quanto piuttosto da una maggiore sopravvivenza delle persone con la malattia e quindi con conseguente aumento delle malattie nella popolazione, che egli definì paradossalmente il fallimento del successo. Cosa che si è puntualmente verificata: oggi si vive di più -o forse secondo i dati americani si viveva di più- ma peggio.
Meno del venti per cento dei centenari è sfuggito alle malattie legate all’età prima di raggiungere i cento anni e circa il quarantacinque percento ha sviluppato almeno una delle malattie dell’anzianità prima dei sessantacinque anni. Tuttavia, almeno in parte, in coerenza con la ipotesi di Fries, nonostante la presenza di malattie, circa il novanta per cento dei centenari ritarda la disabilità fino all’età media di novantatré anni.
L’invecchiamento ritardato significa trascorrere una percentuale maggiore della propria vita in buona salute e liberi da fragilità e disabilità. E questo sarebbe dovuto a una selezione di varianti genetiche associate alla longevità. I centenari invecchiano più lentamente rispetto al resto della popolazione, cioè sviluppano le malattie proprie dell’anzianità più tardi nel corso della propria esistenza.
Ovviamente esistono maggiori ritorni sociali in termini di salute e di spesa pubblica nel ritardare l’invecchiamento rispetto a un modello semplicemente di malattia. Le possibilità di sviluppare una malattia tra i venti e i settant’anni aumenta di mille volte, per cui prevenire una sola malattia fa veramente poca differenza. E infatti se riuscissimo con una bacchetta magica a fermare in questo preciso istante tutte le malattie cardiovascolari, ogni singolo caso, tutti in una volta, il guadagno in termini di vita sarebbe soltanto di 1,5 anni in più. E se arrestassimo o bloccassimo tutte le forme di cancro l’aumento della vita sarebbe solamente di 2,1 anni. Cioè pochissimo. Senza poi considerare il fatto che poiché le persone vivono più a lungo, hanno maggiori possibilità di sviluppare molteplici malattie contemporaneamente e quindi fare progressi contro una singola malattia significa che alla fine ne emergerà un’altra al suo posto, perché tutte le altre cause di morte aumentano ancora in maniera esponenziale. Quindi allungheremmo la vita non sviluppando cancro di 2,1 anni, ma moriremmo verosimilmente di infarto, perché chiaramente sono cause che entrano in competizione tra di loro.
L’evidenza suggerisce che quando l’invecchiamento nella sua complessità viene ritardato, tutti i rischi di malattie mortali invalidanti si riducono contemporaneamente. Quindi l’invecchiamento è la malattia! E infatti se noi rallentassimo l’invecchiamento, avremmo un grandissimo ritorno in aspettativa di vita.
Come riuscirci? Trattando l’invecchiamento non come qualcosa di inevitabile, ma come se fosse una malattia.
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BIBLIOGRAFIA